Sostanza di cose sperate

di Alessandra Muntoni

Devo a Paola De Rosa, che mi ha chiesto di presentare la sua bella mostra 14 stazioni di invenzione, esposta al Museo Emilio Greco di Sabaudia, se ho finalmente capito il significato di questa frase, con la quale Edoardo Persico conclude la sua ben nota conferenza del 1935 Profezia dell'architettura. A commento delle sue stazioni della Via Crucis, Paola ha infatti aggiunto quattro ritratti di persone che sentiva in diverso modo coinvolte nel suo ragionamento artistico: Zevi, Terragni, Persico e Camilleri.
Avevo concluso il mio commento citando la frase di Persico, e Paola mi ha scritto che quelle parole erano di Dante (Paradiso, XXIV, 61-65), il quale a sua volta citava Paolo (Lettera agli Ebrei, 11-1), definendo in tal modo la fede. Sono andata a rileggermi i testi indicati, e infatti è così. A San Pietro che gli chiede: “Dì, buon cristiano, fatti manifesto: / fede che è? […]”, Dante risponde: “[…] Come il verace stilo / ne scrisse, padre, del tuo caro frate / che mise teco Roma nel buon filo, / fede è sustanza di cose sperate, / ed argomento delle non parventi:/ e questa pare a me sua quiditate”. Dove il “verace stilo” è la penna di Paolo, caro “fratello” di Pietro, insieme al quale aveva messo Roma sulla retta via. La fede, inoltre, risulta “argomento” delle cose che non si vedono.


Andiamo allora da Paolo che scrive: “La fede è fondamento delle cose che si sperano e prova di quelle che non si vedono. Per mezzo di questa fede gli antichi ricevettero buona testimonianza.
Per fede noi sappiamo che i mondi furono formati dalla parola di Dio, sì che da cose non visibili ha preso origine quello che si vede”. Questa la versione CEI. Nella Bibbia a cura di Giuseppe Ricciotti, invece, troviamo: “La fede è realtà di cose sperate, e convincimento di cose che non si vedono”. Ricciotti, peraltro, rimanda in nota ai versi di Dante sopra riportati (urge lingua originale).


Fede come fondamento e prova, o fede come realtà e convincimento di ciò che non si può vedere? Dunque torniamo a Persico che, è vero, conclude il suo articolo con la quella frase, ma non l'attribuisce direttamente o soltanto all'architettura e la mette tra virgolette, senza citarne la fonte (pensa evidentemente che tutti la conoscano). Scrive così: “[…] Da un secolo la storia dell'arte europea non è soltanto una serie di azioni e di reazioni particolari, ma un movimento di coscienza collettiva. Riconoscere questo significa trovare l'apporto dell'architettura attuale. E non conta che questa pregiudiziale sia rinnegata da coloro che più dovrebbero difenderla, o bandita da chi più, vanamente, la teme: essa resterà, lo stesso, la fede segreta dell'epoca. «Sostanza di cose sperate»”. Dunque l'architettura (l'arte) è fede, per giunta segreta, di un'epoca travagliatissima, in piena crisi e nell'imminenza di una guerra che solo per poco Persico non vedrà. Avevo erroneamente sempre interpretato quella frase come l'indicazione di una utopia positiva, seppur evanescente, ma ora ne colgo tutta la “sustanza” religiosa. Ciò non deve sorprendere perché pronunciata da un cattolico come Persico. Ma la vulgata ricevuta da Zevi e Tafuri me ne aveva fatto avvertire la connotazione laica. Invece non è così, se si deve conferire all'autore l'intenzione legata al suo più autentico sentire, anche se non ci convince.
Tuttavia, passando dalla speranza al sogno, associo quei versi a quelli di Shakespeare che, nella Tempesta (1611), ne rivolta completamente il significato. Dice Prospero a Miranda e Fernando: “[…] We are such stuff / as dream are made on, and our little life / is rounded with a sleep. […]”. Possiamo tradurre: “Noi siamo della stessa materia di cui son fatti i sogni / e la nostra esigua vita è avvolta dal sonno”. Con ciò Prospero intende dire che tutto quanto esiste sulla terra (o sulla sua magica isola) svanirà nel nulla, e che le magnifiche Torri e i Templi non lasceranno traccia. Addio, dunque all'arte, all'architettura, alla verità e alla fede.
E che dire della frase conclusiva del film Il mistero del falco di John Huston? Dopo varie peripezie, si scopre che la preziosa statuetta della quale tutti si volevano impadronire, è un falso. Al poliziotto che dice: “È pesante; di che materiale sarà?”, il detective interpretato da Humphrey Bogart replica: “Della materia di cui sono fatti i sogni!”


Paola De Rosa
13/04/2016 at 07:25
Cara Alessandra,
la ringrazio ancora molto per aver accolto la proposta di commentare la mostra di Sabaudia e per la generosità delle sue riflessioni.
Posso aggiungere poche cose a quel che lei ha già scritto sulla “Sostanza di cosa sperate”, la frase con cui Edoardo Persico termina la sua Conferenza di Torino un anno prima di morire (13 gennaio 1936), e, queste poche cose, non sono altro che delle mie libere interpretazioni.
Nel libro “Dentro il labirinto”, Andrea Camilleri accenna, documentandola brevemente, alla crisi di fede di Persico, per poi concludere il racconto con una preghiera. Questa crisi mi ha suggerito una lettura azzardata della frase in questione: Persico si rivolge a Dio, è un atto di fede assoluto. In verità, tutto il testo della Conferenza ha il sapore di una preghiera, a partire dalle considerazioni di Persico sulla città di Torino, dalle distanze che prende da tutto e da tutti, perfino dal Venturi, per terminare con la sua dichiarazione di fede.
Questo atto di fede o di speranza non confligge con l'architettura e, più in generale, con l'arte; anzi, in quest'ottica, l'arte sembra assumere tutte le caratteristiche di uno strumento “performativo” capace di “produrre fatti e cambiare la vita”. (Lettera Enciclica Spe Salvi di Benedetto XVI)
Concluderei queste mie brevi considerazioni in libertà ricordando un passo del discorso di Mies van der Rohe del 1938-1945 circa : “… Non tutto ciò che avviene si compie in modo visibile. Le battaglie decisive dello spirito sono condotte su campi di battaglia invisibili. … Le convinzioni sono necessarie, tuttavia nell'ambito dell'opera esse hanno soltanto un significato limitato. Alla fine conta solo la prestazione.”